tutto quello che ha fatto bush ha avuto un effetto boomerang creando un'implosione
certo bellissime aziende come lockheed martin possono fare il cattivo e il brutto tempo nel mondo
L'11 Settembre è stato uno dei più grandi eventi di insider-trading della storia.
I terroristi sono anche degli esperti speculatori. Durante le settimane precedenti l'11 Settembre, un volume insolitamente alto di transazioni fu registrato in alcuni settori, come il trasporto aereo, l'energia e le assicurazioni. Ne furono protagoniste anche le azioni della American Airlines e della US Airlines, poi coinvolte negli attentati. Un andamento simile investì gli affari assicurativi, con alcune delle principali compagnie del settore che divennero oggetto di un'eccezionale e inaspettata speculazione sul mercato dei titoli. Il fine settimana successivo agli attacchi, Ernst Welteke, presidente della Bundesbank tedesca, ammise che c'era stata un'operazione di insider-trading da parte dei terroristi e aggiunse che anche il mercato delle merci ne era stato colpito. Al contrario, alcuni giorni prima degli attacchi, il prezzo del petrolio e dell'oro subirono un improvviso e inspiegabile aumento. Cosa che venne seguita da un'ondata di attività sul mercato dei titoli. Il 12 Settembre il prezzo del petrolio fece un balzo di oltre il 13 per cento, mentre quello dell'oro salì del 3 per cento. I prezzi continuarono a salire per tutta la settimana. Chiunque avesse saputo cosa sarebbe accaduto l'11 Settembre avrebbe potuto predire un tale andamento.
Fare profitti sul terrorismo.
Il terrorismo è un così buon investimento che anche il governo degli Stati Uniti cercò di entrarvi. L'estate scorsa il Pentagono fu costretto ad abbandonare un progetto (Future PAM) a cui aveva lavorato per venti mesi e che consisteva nel lancio di un mercato dei titoli on line in cui consentire agli speculatori di scommettere su possibili assassini, colpi di stato e atti di terrorismo. A capo del progetto c'era un esperto del terrorismo di Stato: il vice ammiraglio John Poindexter, ora in pensione, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Ronald Reagan. Negli anni '90 Poindexter fu dichiarato colpevole di cinque diversi crimini, inclusi la menzogna al Congresso, distruzione di documenti e ostruzionismo all'inchiesta che il Congresso stava conducendo sullo scandalo Iran-Contra. Diversi senatori si erano opposti al suo progetto sulla base del fatto che i terroristi ne sarebbero stati i primi beneficiari, essendo loro a portare a compimento gli attacchi.
Il terrorismo è un business così fiorente che nessuno vuole veramente sradicarlo.
Finora, gli sforzi internazionali per frenare la finanza terrorista sono falliti. I 140 milioni di dollari che sono stati congelati dall'11 Settembre, provenienti per il 70 per cento da conti bancari aperti in Occidente, sono una cifra insignificante. I profitti generati dalle compagnie che fanno capo ad al Qaeda e dalle donazioni dal mondo musulmano sono rimasti per lo più intoccati. Per esempio, la Haramain Charitable Foundation, un istituto di beneficenza con un fatturato di 30 milioni di dollari annui, è ancora attiva in numerosi Paesi. Recentemente ha aperto una nuova scuola islamica a Jakarta, in Indonesia, una delle spine nel fianco dell'Occidente nel sud-est asiatico. In due occasioni l'Arabia Saudita ha detto di essere d'accordo con la chiusura di questa fondazione, presieduta dallo sceicco Abdul Aziz al-Ashaik, ministro saudita per gli Affari Islamici, ma non l'ha ancora fatto. Finora l'Arabia Saudita ha congelato fondi terroristi per 4,7 milioni di dollari, chiuso 6 dei 241 istituti di beneficenza sauditi e proibito la raccolta di monete all'entrata dei centri commerciali. Non molto se paragonato a quanto dicono i rapporti dell'Onu, secondo cui prima dell'11 Settembre il 20 per cento del prodotto interno saudita finiva nelle casse di al Qaeda.
In due occasioni gli USA sono stati sul punto di acciuffare Osama bin Laden.
Il terrorismo è un business troppo lucroso per procedere all'arresto di Osama bin Laden? Nel 1996 il ministro della Difesa del Sudan, il generale Elfatih Erwa, offrì l'estradizione di bin Laden, allora residente in Sudan, ma i funzionari americani rifiutarono. Chiesero invece che il generale Erwa intimasse a bin Laden di lasciare spontaneamente il Paese. "Basta che non gli consentiate di andare in Somalia", aggiunsero. Nel 1993, 18 soldati americani erano stati brutalmente uccisi in Somalia durante delle rivolte di strada in cui erano presenti anche dei seguaci di al Qaeda e gli americani temevano che la presenza di bin Laden in quel Paese potesse creare altri disordini. Quando il generale Erwa rese noto che bin Laden sarebbe andato in Afghanistan, la risposta americana fu "lasciatelo andare". Poche settimane dopo l'11 Settembre, i leader dei due partiti islamici pachistani negoziarono l'estradizione del mullah Omar e di bin Laden verso il Pakistan, dove sarebbero stati processati per gli attacchi terroristici in America. Ancora una volta l'America rifiutò l'offerta. A due anni e mezzo dall'inizio della guerra al terrore, appare chiaro che i vincitori sono i terroristi; e mentre le finanze di al Qaeda sono ancora intatte, l'America è costretta a fronteggiare il più alto deficit di bilancio della sua storia. Cosa può essere fatto? Iniziare a trattare il terrorismo per quello che è: un business globale; costringere i nostri alleati musulmani ad agire immediatamente nell'ostacolare il finanziamento dei terroristi, e concentrare i nostri sforzi nel rintracciare i soldi dei terroristi presenti nei nostri Paesi, anche se questo può comportare delle indagini sui capisaldi del capitalismo occidentale: Wall Street, la City di Londra e le migliaia di centri offshore ad esse collegate.
Partiamo dall’ 11 settembre 2001. Gli attentati, lei afferma, non sono il risultato di un presunto scontro di civiltà o di una guerra di religione, semmai episodi da leggere alla luce di interessi economici che uniscono e allo contempo dividono Oriente e Occidente…
Il terrorismo potrebbe essere il casus belli. Ma il terrorismo internazionale è soprattutto il risultato dello scontro tra sistemi economici: quello occidentale e quello di matrice islamica. E l’ascesa della finanza islamica ha segnato il ritorno del «tribalismo economico».
Che significa?
Il «tribalismo economico» nasce dalla decisione di creare un’alternativa al sistema capitalista, basato sull’interesse e contrario alla legge islamica. Un fenomeno che ha origine negli anni Settanta, con la crisi del petrolio. All’inizio è una specie di movimento di autodifesa; invece dopo l’11 settembre gli investitori musulmani hanno spostato i loro capitali in Malaysia, ad Abu Dhabi (il più grande dei sette Emirati Arabi Uniti). Il prezzo del petrolio, intanto, è aumentato proprio a causa del terrorismo. E i soldi sono andati a finire nei centri della finanza islamica, il settore economico che cresce al momento più rapidamente di tutti gli altri.
Nei suoi libri lei ha provato a tracciare i confini sfuggenti di quello che definisce «Terrorismo S.p.A.», una trama complessa di attori economici leciti e non, che si occupa di droga, petrolio, armi, pietre preziose, riciclaggio di denaro... In sintesi, chi sono i «capitani» più temibili di questa holding? E quali settori economici appaiono più a rischio?
Il finanziamento del terrorismo resta un sistema dinamico, che muta continuamente e che ha dimostrato un’abilità fuori dal comune nell’eludere misure miranti a combatterlo. Da temere sono le nuove joint-venture tra mondo del crimine e terrorismo, ad esempio in America Latina, dove esistono alleanze economiche tra narcotrafficanti, gruppi armati e membri dei nuovi governi populisti. Senza dimenticare lo sviluppo di nuovi mercati della droga, come il contrabbando di cocaina colombiana in Europa, e l’utilizzo del vecchio continente quale nuovo centro internazionale del riciclaggio del denaro sporco.
Come si finanziano i nuovi gruppi terroristici?
Il decentramento delle attività finanziarie dei gruppi jihadisti (un fenomeno circoscritto, che registra una percentuale bassa di adesione in tutto il mondo musulmano) ha prodotto un aumento dei finanziamenti generati da attività legittime: le moschee jihadiste incoraggiano giovani ad autofinanziarsi, utilizzando parenti e amici; gruppi spontanei, quali quelli del 7 luglio a Londra, utilizzano stipendi e risparmi per finanziare le loro attività terroristiche. Abbiamo quindi assistito a un nuovo fenomeno: la privatizzazione dell’attività jihadista in Europa e nel Medio Oriente sotto la copertura finanziaria globalizzata di Al Qa’ida, con il proliferare di piccolissimi gruppi armati endogeni, i cosiddetti homegrown group, che si autofinanziano e mettono in atto repliche su scala ridottissima dell’11 settembre. Sono loro i responsabili degli attacchi a Madrid, Londra, Casablanca e nel Sinai. E il successo della «privatizzazione» si ripercuote anche sulla caduta dei costi dell’attività terroristica: mentre 1’11 settembre è costato 500 mila dollari, l’attacco di Madrid è costato solo 10 mila dollari e quello di Londra meno di 2 mila sterline. L’uccisione di Theo van Gogh in Olanda è costata ancor meno (molto probabilmente solo il prezzo del coltello), ma l’impatto è stato tremendo e ha intaccato il senso di tolleranza della popolazione intera nei confronti dei musulmani. Infine, la presenza di truppe europee in Iraq ha fomentato l’odio nei confronti del vecchio continente: un fenomeno nuovo, perché fino all’11 settembre Osama bin Laden non aveva mai parlato di Europa, concentrandosi sugli Usa, considerati il nemico lontano perché appoggiava le élite corrotte del Medio Oriente