Corto, non ci sono ricette a breve e medio termine per l’Italia. C’è da ricostruire tutto l’apparato produttivo a partire dall’agricoltura sino ai servizi. Occorrono 2 decenni, ammesso che si voglia tornare a essere un Paese che conti qualcosa nell’economia globale. Purtroppo sarò lungo anch’io.
1) Costituzione di un Fondo finanziario per lo sviluppo e trasformazione dell’apparato produttivo (una nuova IRI). Questo è fondamentale.
2) Trasformazione della gestione del territorio utilizzato a fini agricoli e forestali. Abolizione delle culture intensive di colture che altri paesi, con meno fatica e dispendio di chimica e quindi di energia, producono massicciamente. Valorizzazione delle colture indigene e ripristino delle varietà abbandonate. Produzioni di nicchia ad alto valore per i mercati ricchi in un primo momento per favorire l’accumulazione primitiva del capitale nell’agricoltura. Questo porta come corollario oltre a una serie di investimenti sul territorio anche a una maggiore ricerca nel campo agroalimentare. Calcola quanto nuovi posti di lavoro di alto livello tecnologico richiederebbe.
3) Ridefinizione delle politiche industriali, indirizzandole verso i settori ad alta tecnologia. Abbandono delle produzioni a basso valore tecnologico (tessile, calzaturiero, falegnameria, chimica di base, ecc.) salvo mantenere la ricerca e sviluppo di soluzioni innovative da brevettare e vendere ai paesi emergenti. I Finanziamenti dovranno essere mirati e concentrati a queste imprese, le altre vanno abbandonate a se stesse, se sopravvivono bene, altrimenti li si lasci morire, non è compito dell’economia salvaguardare le specie in estinzione.
4) Riassetto e creazione delle infrastrutture per creare il tessuto connettivo per il funzionamento dei progetti di cui sopra.
5) Riassetto del comparto dei servizi alle imprese, oggi polverizzate in una miriade di piccole strutture incapaci di servire a quanto sopra descritto, concentrandoli per settori di competenza. In una prima fase occorre un intervento dello Stato che rimetta ordine, lasciandolo in una seconda fase al privato.
6) Rivoluzione totale del sistema educativo inteso come istruzione superiore. Abolizione dei finanziamenti alle Università che sono proliferate per pura speculazione. Creazione di 4 grandi poli Universitari separati per luogo e indirizzo: Scienze; Umanistica, Tecnologia Applicata, Medicina. Selezione del personale docente in base a reali criteri di merito, quindi attuali sottoponendo senati accademici al controllo da parte di organi paritetici (politici-amministrativi-scientifici) che dovranno misurarne i risultati in base alle linee progettuali finalizzate alla riforma dell’apparato produttivo su accennato.
7) Riassetto del Sistema Bancario e Finanziario impedendo agli imprenditori del comparto produttivo di posseder quote di Banche e Assicurazioni e viceversa impedendo a Banche e Assicurazione di detenere quote di imprese.
8) Abolizione dell’autonomia degli ordini professionali sottoponendoli a organi di controllo terzi.
9) Riforma del mercato del lavoro e del sistema di welfare state. Salario minimo garantito per tutti i lavoratori disoccupati legato alla riqualificazione professionale. Innalzamento dell’età pensionabile tramite incentivazione e separazione dell’assistenza dalla previdenza.
Naturalmente queste sono linee di indirizzo per le quali necessitano una miriade di mini-riforme settoriali.
Come finanziare questo “new deal”? Con gli stessi soldi che oggi vengono sprecati per interventi “a pioggia”, di tamponamento, di sovvenzione dei privilegi. I soldi ci sono anche oggi, sono male usati perché manca un progetto di rinnovamento e la volontà di rinnovarsi.
Costerà sacrifici per tutti? La festa è finita, questo è il messaggio impopolare che deve essere veicolato dalla classe politica.